venerdì 8 marzo 2013

I Borbone amici della Scienza



di Ruggero Guarini


Gentile e stimato professor Aldo Masullo, leggendo sul “Mattino” un suo toccante articolo sul rogo che ha distrutto la Città della Scienza a Bagnoli, mi ha molto colpito, e anche commosso, un passo in cui lei ha enumerato le molte istituzioni, non soltanto museali, che a Napoli, nell’Ottocento, costituirono (riporto la sua felice espressione) dei “formidabili incubatori scientifici”. 
A questo proposito, infatti, lei ha giustamente ricordato che fra quelle istituzioni spiccano il primo Museo Mineralogico del mondo (creato nel 1801 presso il collegio Massimo dei Gesuiti, fra via Palladino e via Mezzocannone), il primo Orto Botanico italiano (in via Foria: 1807); il primo Osservatorio Astronomico italiano (Capodimonte: 1815); il primo Centro Sismologico italiano (sul Vesuvio: 1841) e la Stazione Zoologica di Anton Dhorn (nella Villa Comunale:1872). 
Questo piccolo elenco le ha permesso di osservare che Napoli, in quel secolo, dunque non fu soltanto, come tutti sanno, la patria di quella cultura umanistica (letteraria, storica, politica e filosofica) che trovò i suoi massimi esponenti in Francesco De Sanctis e Antonio Labriola, ma anche (cosa purtroppo molto meno nota, e spesso dimenticata) la città in cui la cultura scientifica conseguì, più che in ogni altra città italiana, molti prestigiosi “primati” nazionali, e talvolta persino mondiali.
Opportuna e giusta osservazione, alla quale, tuttavia, non  sarebbe stato sconveniente aggiungere che tutti quegli “incubatori”, tranne la Stazione Zoologica di Dhorn (che fu creata quando la nostra città, da capitale del più vasto, popoloso e ricco degli stati pre-unitari, era già stata ridotta al rango di capoluogo di una regione del nuovo stato sabaudo), nacquero durante il regime borbonico.
Suppongo che su questa circostanza lei abbia sorvolato perché la ritiene arcinota. Ma quasi altrettanto arcinoto è ormai un altro fatto che invece le è sembrato necessario ricordare, ossia che Napoli, in quegli anni, “balzò come uno scandalo alle cronache del mondo”. Si dà il caso, tuttavia, che mentre la prima circostanza (da lei omessa) sia una verità di fatto indiscutibile, la seconda (da lei riferita) sia invece una diceria storica ormai da un pezzo molto discussa e giudicata da non pochi seri studiosi del ramo un evidente prodotto della retorica antiborbonica che alimentò il nostro processo unitario.
Quella retorica era ovviamente basata sul presupposto che il Regno delle Due Sicilie fosse il più arretrato e barbarico degli stati preunitari, e che di conseguenza la sua gente vivesse in condizioni molto peggiori di quelle allora toccate a tutte le altre popolazioni della penisola. Ma a provare che questo presupposto è per molti aspetti una panzana concorrono ormai, com’è noto, non pochi dati che, dopo essere stati a lungo misconosciuti e taciuti dalla storiografia ufficiale, sono stati  da un pezzo messi in  luce da quella definita “revisionista”.
Fra tutti questi dati credo che il più sorprendente sia quello riguardante il lavoro e l’occupazione. Per capire che la tesi dell’arretratezza del Sud rispetto al Nord in quel campo è in effetti un pregiudizio basta infatti ricordare che nel 1861, dal primo censimento del Regno d’Italia, risultò che nelle sole province dell’ex Regno delle Due Sicilie il numero degli occupati nel settore industriale (esattamente 1.595.359) era leggermente superiore a quello registrato in tutto il resto della penisola (1.535.437). Ma non meno illuminante è un dato relativo alla salute e alle condizioni igieniche, giacché dalle registrazioni dell’epoca risulta che allora nel Mezzogiorno il tasso di mortalità infantile era più basso che nelle regioni del Nord.
A queste ormai scontate osservazioni, il rogo di Bagnoli permette comunque di aggiungere, sempre ai fini del confronto fra la barbarie dell’èra borbonica e la superiore civiltà di quella unitaria, un appunto nuovo di zecca, riguardante questa volta la correttezza amministrativa: non risulta che qualcuna delle tante istituzioni scientifiche della Napoli preunitaria abbia mai sospeso per mesi e mesi, come è accaduto nella Città della Scienza, sia il pagamento degli stipendi ai dipendenti sia quello dei debiti ai fornitori.